Marsala, ridotta la pena a Michele Licata: la Corte d’Appello ha rigettato la richiesta del PM

La Corte d’Appello ha rigettato l’istanza del PM per aumentare la pena ed accolta quella di Michele Licata che ha avuto quasi dimezzata la propria pendenza penale.

Dimezzata la pena e rivisita la posizione giudiziaria dell’imprenditore marsalese Michele Licata, finito nei “guai” nel dicembre del 2016. Il Collegio della Terza Sezione Penale della Corte d’Appello di Palermo, in data 6 luglio 2020, ha riformato la sentenza di primo grado con cui il gip di Marsala aveva condannato Michele Licata per frode fiscale, riducendo la pena da 4 anni, 5 mesi e 20 giorni di reclusione a 2 anni, 6 mesi e 20 giorni.

Avverso tale sentenza avevano presentato appello sia l’imprenditore (per una riduzione della pena) che il Pubblico Ministero (per un inasprimento della stessa). La Corte d’Appello di Palermo, previa declaratoria di inammissibilità, ha: rigettato la richiesta di appello della pubblica accusa, assolto con formula piena Michele Licata dal reato di malversazione e dichiarato di non doversi procedere per i reati fiscali (commessi fino all’anno d’imposta 2010) e per quelli di truffa perchè estinti per prescrizione. Inoltre la Corte d’Appello di Palermo ha condannato Licata a risarcire Vito Salvatore Fiocca, costituitosi parte civile nel processo, riconoscendo 1200 euro di spese processuali, IVA e CPA.

L’Autorità Giudiziaria – secondo quanto ci ha riferito l’avvocato Carlo Ferracane che assieme al collega Salvatore Pino difendono l’imprenditore marsalese – avrebbe ricostruito “l’ammanco” di 1.860.000 euro, trovandone 1.600.000 euro su conto postale e la restante parte di 260.000 in fondi di investimento (entrambi le cifre, accantonate come fondi di riserva, erano sempre stati nella disponibilità dell’azienda). Tale “gruzzoletto”, inoltre era stato già sequestrato nel 2016, pertanto nessuno aveva distolto capitali all’azienda. Per quanto attiene ai reati contestati di truffa per fatture false la difesa ha dimostrato che tali capitali si trovano interamente investiti nelle strutture alberghiere dell’imprenditore come opere strutturali (fabbricati), mobili e benfatti (arredamenti, attrezzature, ecc.), pertanto seppure non vi è una corrispondenza cartacea ben precisa nessuna somma è stata sottratta alle società.

Infine per quanto attiene i reati fiscali l’imprenditore aveva manifestato fin dal primo momento della contestazione la sua volontà a voler provvedere al saldo dei debiti con l’erario, avendo – allora – una disponibilità economica di oltre 10 milioni di euro. Licata non ha potuto assolvere a tale compito perchè la liquidità economica gli è stata “congelata” nell’ambito del sequestro giudiziario assieme al ristorante “Delfino”,all’albergo “Delfino Beach”, all’agriturismo “La Volpara” al “Baglio Basile ed altri beni per un valore complessivo che si aggira attorno ai 140 milioni di euro.
In virtù di tali circostanze la condanna nei confronti del noto imprenditore del settore turistico ricettivo è stata ridotta a due anni, sei mesi e venti giorni.

L’avvocato Carlo Ferracane, legale di Licata, si dichiara soddisfatto per la riduzione di pena che, peraltro, non comporta la detenzione ma, al massimo, la misura dei domiciliari o dei servizi sociali. “Se consideriamo il dato di partenza, si tratta di un grande successo”, afferma Ferracane che si riserva di leggere le motivazioni della sentenza per decidere se presentare un eventuale ricorso in Cassazione”.

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