Dramma dell’emigrazione: più di 20 mila siciliani ogni anno lasciano la Sicilia

Il Sud, la Sicilia, continua ad essere terra di emigranti, di gente costretta a lasciare  i propri affetti pe cercare fortuna altrove, spesso anche all’estero.

Partono in cerca di lavoro e meritocrazia e ogni anno è come se una cittadina si svuotasse. Nel 2017, 10mila palermitani si sono trasferiti al Nord o all’estero e almeno in 20mila, soprattutto giovani dai 20 ai 40 anni, hanno lasciato la Sicilia, dove la disoccupazione è inchiodata al 22 per cento e più un ragazzo su due non lavora.

Il nuovo presidente della regione Sicilia deve affrontare una sfida enorme. Ci si è molto soffermati sul significato del voto siciliano in vista delle prossime elezioni politiche, ma la domanda che a me preme porre — non solo al nuovo governo dell’isola, ma anche a quello nazionale — è quale sia una proposta in grado di invertire almeno parzialmente la depauperizzazione che questa regione ha vissuto negli ultimi quindici anni.

Come il resto del Mezzogiorno, anche se in misura minore, la Sicilia sta vivendo oggi una modesta ripresa economica. Ma tuttavia non è in grado di contrastare un trend preoccupante di perdita del capitale umano che mette a repentaglio lo sviluppo futuro della regione. Stiamo parlando della quarta regione italiana per popolazione, di un’area grande più o meno come la Finlandia. Questa domanda dovrebbe interessare quindi tutti noi.

Guardiamo prima a qualche dato che riguarda il Mezzogiorno in generale. Dal 2002 al 2015, secondo la Svimez, sono emigrati circa un milione e settecentomila persone, più del 50% giovani, di cui circa il 20% laureati. Emigrano i residenti con una maggiore propensione al rischio, i più ambiziosi e i più qualificati. Molti di questi sono siciliani. In Sicilia questo si accompagna ad un drammatico calo degli occupati nell’industria. Dal 2000 al 2016 questi ultimi sono diminuiti del 21.5%, contro un dato italiano dell’11% e, nel periodo 2015-2016, del 3.8% contro il 0.3% nazionale. Occorre fermare la fuga di talenti, ma anche di forti braccia, per evitare squilibri demografici nel tessuto economico produttivo. Il Sud, per crescere, ha bisogno anche delle risorse umane “eccelse”.

Pubblichiamo, qui di seguito una lettera aperta  di una mamma indirizzata al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Vale la pena di leggerla, fino alla fine

“Caro Signor Presidente,

se ha due minuti le racconto la storia di un’Isola che sta perdendo il suo futuro, così… un ragazzo dopo l’altro. I nostri ragazzi sono nati intorno agli anni Novanta, mentre Falcone e Borsellino in questa città, ci lavoravano e ci morivano. I loro genitori (noi), negli anni Settanta volevano cambiare il mondo e ci sono anche riusciti un po’, credendo ancora in un mondo sempre migliore e sempre più grande.

Hanno messo su belle famiglie, appassionate, bambini cresciuti come miracoli, scelti, amati, pochi conflitti. I ragazzi hanno frequentato i nostri buoni licei pubblici e hanno avuto ottimi professori, di quelli che si dice “hanno la vocazione”, di quelli che mantengono un rapporto per sempre, che li seguono, li formano e che qui ci sono ancora.

E hanno viaggiato, i nostri ragazzi; abbiamo parlato loro di un mondo grande, senza confini, dove muoversi in libertà; gli abbiamo raccontato la bellezza di potere andare e di tornare tessendo così relazioni sempre nuove; abbiamo parlato loro dell’ “emigrazione” solo nel ricordo di parenti lontani, costretti ad andare per sopravvivere e non li abbiamo preparati a nulla di simile.

Abbiamo fatto studiare loro le lingue fin da bambini quando era uno sforzo di cui non potevano capire il senso e loro lo hanno fatto perché sono sempre stati bravi, fin da bambini, i nostri ragazzi, belli, spiritosi, sportivi, vivaci. Poi sono andati all’Università, in Italia o all’Estero e poi ancora almeno un anno di Erasmus e poi master, stage… scelgono il loro futuro, e non si risparmiano.

Arriva il giorno atteso: la laurea, neanche a dirlo 110 e lode o giù di lì, sono proprio bravi. Si sentono Europei i nostri ragazzi, anche se il loro mare è il più bello di tutti… e vanno, vanno via tutti, i migliori (e chi resta?). A volte quando sono fuori a studiare li vediamo un po’ tristi su Skype, per la nostalgia e il senso di solitudine. Ma sono bravi e seri, più bravi di come eravamo noi, più preparati, più attrezzati.

Anche i loro genitori (noi) sono bravi e seri e li sostengono e pagano, in Italia e all’estero, tutta la loro formazione, che i più promettenti spenderanno solo all’estero, andando ad arricchire altri territori. Che peccato!

Le madri dei “nostri ragazzi” (io) si incontrano e parlano di loro, hanno di che vantarsi, sono orgogliose e tristi; le grandi case vuote; vorrebbero andare a trovarli ma sono ancora incastrate in un lavoro (per fortuna bellissimo!) che è letteralmente a tempo indeterminato, nel senso che non si sa quando se ne verrà fuori.

Io lavoro nella Palermo dei Quartieri, nelle periferie, che è poi la più grande Palermo. Lì Signor Presidente ci sono tanti ragazzi senza speranza perché è inutile girarci intorno, senza lavoro non c’è speranza e non c’è futuro; così alcuni trovano occupazione nella malavita più o meno organizzata facendo all’inizio piccole cose ma incominciando a sviluppare un grande senso di appartenenza che li legherà forse per sempre a questa terra; altri  inseguendo il desiderio di un calore familiare mai avuto, cercano di farsela loro una bella famiglia, subito però, tanto “che aspettiamo a fare?” e sono così mamme e papà a 15,16,17 anni, del resto le loro nonne sono cinquantine.

Altri, quelli più “sperti” vanno via anche loro, vanno a Londra a lavorare da Mac Donald o in Germania  in un pub  o in un’impresa di pulizia ma ”mi mettono in regola e mi danno pure l’alloggio” e almeno sfuggono alla richiesta di manodopera delle mafie. Sono simpatici, intelligenti e pieni di buona volontà.

E chi resta? Noi restiamo, non certo giovani, su quest’isola che i nostri ospiti turisti amano, in questa città bellissima, Capitale della Cultura, Capitale dei Giovani ma che si sta perdendo il futuro così … un ragazzo dopo l’altro. Io lo so che tutte queste cose Lei le sa già, che sono temi presenti nella Sua mente e nel Suo cuore ma mi piacerebbe che tutte le madri, i padri, le famiglie, le aziende, i professori, che tutti i cittadini  lo pretendessero questo futuro in un coro impossibile da non udire.

Ma adesso è Natale. Tornano tutti, è un piacere vederli… cammini per strada e li riconosci, si fermano di continuo a salutare e raccontare. Per un po’ tornano ad abitare le loro stanze spaziose, si spostano con lo scooter e usano l’automobile  anche se “fuori i mezzi pubblici funzionano che è una bellezza!”, e mangiano cibi buonissimi… “che buono così, solo la nonna lo sa cucinare!” Ci sentiremo anche noi un paese normale, tutte le generazioni presenti!

Altro che luminarie Signor Presidente, saranno i loro sorrisi la luce di questa città  e le loro risate, la musica. Per una settimana.

Presidente, non se li lasci scappare i Suoi ragazzi e per Natale regaliamogli quello che avevamo promesso: la libertà di girare per il mondo liberi però di andare, di tornare, liberi anche di restare.

Buon Natale Signor Presidente

Rosaria Di Bartolo

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