Mafia, un nuovo patto Sicilia-New York, gestito da un fedelissimo di Messina Denaro

Blitz dei carabinieri in provincia di Trapani. In manette Francesco Domingo, boss di Castellammare del Golfo, punto di riferimento per il superlatitante. Indagato il sindaco, perquisizione a casa e in ufficio.

Negli ultimi due anni, i viaggi da New York verso Castellammare del Golfo si sono intensificati. Gli emissari della famiglia Bonanno andavano tutti ad ossequiare un padrino della vecchia guardia, Francesco Domingo, 64 anni, in Cosa nostra lo hanno sempre chiamato “Tempesta”, un punto di riferimento per l’imprendibile Matteo Messina Denaro. Quei viaggi non sono sfuggiti all’indagine dei carabinieri del nucleo investigativo di Trapani, coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Francesco Dessì e Gianluca De Leo: stanotte, sono state arrestate 13 persone, fra cui Domingo. E questa volta, le intercettazioni sono entrate ancora più a fondo nei segreti della provincia di Trapani, mettendo in risalto relazioni fra mafiosi e insospettabili.

Stamattina, sono scattate perquisizioni nell’abitazione e nell’ufficio del sindaco di Castellammare del Golfo, Nicola Rizzo, eletto nel 2018 con 2.463 voti, ottenuti con una lista civica di centrodestra. Al primo cittadino è stato notificato un avviso di garanzia in cui si ipotizza il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. E tornano le ombre del passato: nel 2006, il Comune di Castellammare era stato già sciolto per infiltrazioni mafiose, per le pressioni pesanti di Domingo sull’ufficio tecnico. Eppure, quella sembravava ormai una stagione lontana: negli ultimi anni, il sindaco Rizzo è diventato espressione di un nuovo percorso antimafia in provincia di Trapani. Ma per la procura di Palermo non è proprio così, domani il primo cittadino dovrà presentarsi al palazzo di giustizia per essere interrogato.

Il summit

Francesco Domingo è stato già condannato due volte per associazione mafiosa. Dopo ogni scarcerazione, è sempre tornato a guidare l’influente mandamento di Castellamare del Golfo. Fra estorsioni e affari sul territorio. E più di recente – racconta l’indagine del comando provinciale di Trapani diretto dal colonnello Gianluca Vitagliano –  i collegamenti sono tornati ancora più stretti con i cugini d’oltreoceano.

E’ un rapporto antico quello fra Cosa nostra siciliana e americana: le origini del clan Bonanno di New York, all’inizio del secolo scorso, avevano le proprie radici proprio a Castellammare. I mafiosi italo-americani del fronte trapanese hanno segnato una scalata criminale veloce: i Bonanno hanno costituito la seconda famiglia più importante fra le cinque di New York. Fino alla grande repressione giudiziaria degli anni Novanta.

Adesso, le microspie piazzate nel ventre della Sicilia hanno registrato un nuovo particolare attivismo. Non solo in provincia di Trapani, ma anche in quella di Agrigento, dove la famiglia mafiosa di Sciacca intrattiene altri contatti con i Bonanno. Il 30 luglio 2018, si tenne un riunione importante a Castellammare del Golfo: da Sciacca arrivarono il capomafia Accursio Dimino e Sergio Gucciardi, proprietario di due bar a New York, dove sono installate slot machine; incontrarono un tale Stefano Turriciano, “originario di Castellammare – hanno scritto gli investigatori – ma dimorante perlopiù negli Stati Uniti e dalle informazioni acquisite dalla polizia giudiziaria, è stato controllato nel 2007 all’aeroporto di Palermo con Franco Salvatore Montagna, originario di Alcamo e fratello di Sal Montagna, affiliato alla famiglia newyorkese dei Bonanno e assassinato il 24 novembre 2011 a Montreal”.

A Castellammare si incontrarono al Flower cafè: “Dove li mettiamo questi telefoni?”. Erano prudenti. Sembra che i boss siciliani puntavano a nuovi investimenti nel settore del gioco.  “Noi dobbiamo andare là per fare – diceva Antonello Nicosia, il collaboratore parlamentare dell’onorevole Giuseppina Occhionero (arrestato nel novembre dell’anno scorso), a Dimino – in California o in Texas o in un altro posto, non è che per forza dobbiamo farlo a New York. Dobbiamo fare una cosa per fare soldi, anche in un altro paese… in Canada”.

Qualche tempo dopo, Gucciardi telefonò a Michele Domingo, il fratello di Francesco, anche lui residente negli Stati Uniti. Il fratello del boss disse: “Domani non scendere per venire qua, fino a quando non te lo dico io… perché c’è mbiruglio per ora”. Era morta la madre dei Domingo, la questura di Trapani aveva vietato i funerali pubblici e per le strade di Castellammare c’erano diversi controlli della polizia. Così, la trasferta da Sciacca venne rinviata. Il 28 agosto, c’era anche Francesco Domingo all’incontro con Gucciardi, al Flower cafè.

L’indagine

Pure a Palermo sono stati registrati segnali inquietanti sul fronte di un’altra famiglia newyorkese, quella dei Gambino: nel luglio scorso, la squadra mobile ha arrestato 19 esponenti del clan Inzerillo, i “perdenti” della guerra di mafia  dei primi anni Ottanta, dopo la morte di Totò Riina sono tornati dagli Stati Uniti con i loro tesori mai sequestrati. Un altro mistero. Per certo, la procura ha individuato un flusso di denaro dagli Stati Uniti alla Sicilia attraverso alcune carte ricaricabili portate a Palermo. Sono pagamenti per partite di droga? O capitali per nuovi investimenti? Il quadro è ancora confuso.

Nei mesi scorsi, la commissione parlamentare antimafia ha deciso una trasferta negli Stati Uniti, per comprendere come si sta sviluppando il nuovo asse criminale fra la Sicilia e gli States. L’Antimafia ha incontrato il ministro della giustizia del presidente Trump, i direttori di Dea ed Fbi, i due procuratori distrettuali di New York (Manhattan e Brooklyn) e vari responsabili delle agenzie Onu che si occupano di cooperazione internazionale in materia penale.

“Con procuratori e investigatori – spiegò al ritorno dal viaggio il presidente Nicola Morra – abbiamo fatto il punto su quanto emerge dall’attività delle cinque famiglie di New York per capire i livelli di interazione e integrazione fra la Cosa nostra che un tempo dettava legge nello scenario americano, l’Ndrangheta che arriva dal Canada e altre mafie straniere”. La commissione antimafia ha affrontato anche uno dei nodi irrisolti della collaborazione Italia-Usa in tema di lotta alle cosche: dalla fine del 2016 è pendente una richiesta di estradizione per il boss di Carini Freddy Gallina, fermato a New York, quattro anni non sono bastati per farlo ritornare nelle prigioni italiane.

Il superlatitante

Sullo sfondo, l’imprendibile Matteo Messina Denaro, il capomafia della provincia di Trapani condannato all’ergastolo per le stragi del 1993 di Firenze, Milano e Roma. Nella stagione delle bombe, aveva affidato una missione molto particolare a Francesco Domingo, un’indagine riservata in Sardegna per individuare alcuni agenti della polizia penitenziaria che lavoravano nei bracci del 41 bis. Messina Denaro e gli altri “falchi” di Cosa nostra volevano dare una lezione esemplare ai poliziotti. Domingo portò dei nomi, trovati grazie ad alcuni suoi contatti in Sardegna, ma poi la spedizione punitiva venne rinviata.

Dov’è adesso Messina Denaro? Forse in Sicilia, forse all’estero, si sono perse le sue tracce. Ma i fedelissimi di Trapani, come Francesco Domingo, continuano a presidiare il territorio. E la caccia alla primula rossa continua.

Fonte: www.repubblica.it                      Pubblicato on line il 16/6/2020 https://palermo.repubblica.it/

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