Il cous cous, fallo come vuoi… sempre cous cous è

COUS_COUSIl cous cous, piatto povero della tradizione del Magreb, oggi oggetto di speculazione in diverse città della Sicilia è al centro di numerose polemiche. L’effetto mediatico del Cosu Cous Fest di San Vito Lo Capo, una vera e propria miniera per la ristorazione ed il turismo del luogo, ha fatto proliferare l’interesse, anche in aree che nulla hanno a che fare con tale tradizione, col risultato che la gente, soprattutto i turisti, si chiedono quale sia il vero piatti tipico rivisitato dall’arte culinaria siciliana.

Per tradizione popolare, esportata dagli extracomunitari che da decenni vivono nella comunità araba di Mazara del Vallo, costituita per lo più da pescatori, il cous cous era rigorosamente a base di zuppa di pesce, anche se nella comunità magrebina preferivano quello a base di zuppa di verdure, zuppa di carni varie (ad eccezione del maiale) o misto; proprio come si faceva nelle loro terre, lontane dalla costa, dove il pesce scarseggiava. Nella vicina Marsala, dove risiede a Santo Padre delle Perriere una grande comunità islamica, la popolazione del luogo ha rivisitato il piatto aggiungendo due varianti, quella con la zuppa da lumache, quelle verdi e grosse, e quella con il sugo, molto liquido, con la testa di maiale.

Una versione per così dire sacrilega per una popolazione che da sempre non mangia il maiale e sdegna di ogni suo derivato. Variante accettabile o meno, ma pur sempre nel rispetto della tradizione culinaria del luogo. Sempre meglio di quanto avviene nelle cucine di certi ristoranti o dietro le quinte dei concorsi di cous cous, dove gli chef pur di accattivare l’attenzione della giuria propongono le versioni più disparate che, in taluni casi, non potrebbero nemmeno essere chiamati cous cous.

 A difesa della tradizione, della qualità e nel rispetto dei consumatori, nasce a Trapani un codice etico per la realizzazione del vero cous cous, il grande piatto della tradizione locale intimamente legato alla storia e all’identità trapanese. Sono già quindici ristoratori del territorio che hanno siglato il documento, che rimane aperto a nuove adesioni e che contiene alcune indicazioni fondamentali per la realizzazione della ricetta secondo tradizione, dalla scelta degli ingredienti, alla denominazione, alle tecniche di cottura.

Si tratta, in pratica, di un codice di autoregolamentazione che non è una certificazione di qualità né una classifica ma piuttosto di un’insieme di linee guida già condivise da molti ristoratori ma ufficializzate e rese evidenti ai tanti turisti e visitatori attraverso un bollino apposto nei locali. Un’operazione di onestà, a difesa di un piatto che è anche un importante simbolo del territorio e anche per questo merita rispetto.

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