Ecco come operava l’organizzazione nel traffico internazionale di droga
Tre soggetti sono stati arrestati per traffico internazionale di droga dai Carabinieri del Ros e dai militari del Gico della Guardia di Finanza
Carabinieri del R.O.S. e del Comando Provinciale di Trapani ed i Militari del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Palermo, dalle prime ore dell’alba stanno dando esecuzione ad un ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dall’Ufficio G.I.P del Tribunale di Palermo su richiesta della Procura della Repubblica di Palermo – Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 3 soggetti facenti parte di una più ampia associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti che ha operato sotto l’egida di cosa nostra siciliana e all’ombra del latitante Matteo Messina Denaro .
Sono altresì in corso in tutto il territorio nazionale decine di perquisizioni, che vedono impiegati oltre 100 Carabinieri e Finanzieri, supportati da unità cinofile, e riguardano abitazioni e luoghi nella disponibilità degli indagati.
L’odierna indagine, convenzionalmente denominata “EDEN 3 – PEQUENO” , ha permesso di ricostruire i lucrosi traffici delittuosi posti in essere dagli associati sin dall’estate del 2013, consentendo nell’ultimo quinquennio il sequestro degli ingenti carichi di stupefacente (hashish) acquistati dall’organizzazione criminale.
Le indagini hanno evidenziato come i tre arrestati, tra cui l’ex avvocato Antonio Messina (autorevole esponente della criminalità organizzata trapanese, radiato dall’albo degli avvocati per le vicende giudiziarie che lo hanno visto coinvolto in passato, emerso in maniera trasversale in diverse attività investigative perché in qualificati rapporti con esponenti apicali di cosa nostra), tutti originari di Campobello di Mazara e pluripregiudicati per reati inerenti al traffico illecito di sostanze stupefacenti, nonostante i periodi di detenzione ultradecennali scontati, sfruttando rapporti consolidati con alcuni referenti stranieri, nel periodo monitorato dalle indagini abbiano operato importazioni di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente lungo la tratta Marocco – Spagna – Italia.
In particolare, nella prima fase delle investigazioni è stata intercettata una partita di droga proveniente dalla penisola iberica e destinata al mercato milanese, costituita da 240 kg di hashish, sequestrati a Carate Brianza (MB), con il conseguente arresto in flagranza di un soggetto incaricato di custodire lo stupefacente.
La “merce” avrebbe fruttato alle casse dell’organizzazione circa 350.000 euro, raddoppiando l’investimento illecito.
Nello stesso frangente veniva ricostruito il reticolo di spaccio sulla piazza lombarda, composto dai soggetti ai quali gli associati facevano “assaggiare” lo stupefacente al fine di cederlo il più rapidamente possibile.
Le indagini, oltre a consentire di documentare numerosi episodi di minuto spaccio e l’acquisto di due armi da fuoco, hanno permesso di ricostruire l’attivismo dell’associazione per l’importazione di ulteriori carichi di hashish per oltre una tonnellata, tra cui:
- una “partita” di 180 kg ceduta a clienti di origine calabrese;
- un carico di 60 kg di hashish che, proveniente dalla Sicilia e destinato al mercato Lombardo, è stato sequestrato alla fine del 2015 in Toscana.
Nell’ultimo periodo, muovendo dal monitoraggio di Angelo Greco (arrestato il 19.04.2018 in esito all’indagine c.d. ANNO ZERO per partecipazione ad associazione mafiosa quale affiliato alla famiglia di cosa nostra di Campobello di Mazara, in costante collegamento con il vertice del mandamento di Castelvetrano e pertanto condannato con rito abbreviato l’11.11.2019 alla pena di anni 8 di reclusione) sono stati acquisiti ulteriori e convergenti elementi sul conto di Giacomo Tumbarello, Antonio Messina inteso l’avvocato e Nicolò Mistretta .
Dalle indagini condotte è emerso che gli esponenti dell’organizzazione criminale investigata, oltre ad esprimere in alcuni dialoghi intercettati espliciti riferimenti al latitante Matteo Messina Denaro , hanno agito anche in favore della consorteria mafiosa campobellese prevedendo tra l’altro tra le sue finalità la distribuzione di parte dei proventi delittuosi per il soddisfacimento dei bisogni economici della nominata famiglia mafiosa, segnatamente per il sostentamento dei sodali detenuti.
Detta struttura criminale, per lo sviluppo delle sue attività illecite, si è avvalsa inoltre di una qualificata rete relazionale articolata sul territorio nazionale che ha visto coinvolti, tra gli altri, diversi soggetti oggi destinatari di provvedimento di perquisizione.
Come sopra anticipato, in tale ambito ha assunto particolare rilievo la figura di Antonio Messina il quale si è anche adoperato per dirimere i contrasti insorti per ragioni economiche tra gli associati, sviluppando nell’hinterland milanese degli incontri con Nicolò Mistretta e altri importanti esponenti della criminalità organizzata siciliana da anni operativi in Lombardia; proprio in occasione di una riservata riunione tra Messina e un pluripregiudicato palermitano avvenuta all’interno di un affollato esercizio commerciale, in un più ampio discorso che riguardava la situazione della famiglia di cosa nostra di Castelvetrano e le difficoltà che stava incontrando detto sodalizio per via dei numerosi interventi repressivi effettuati dalle FF.PP., veniva captato un rilevante dialogo in cui i due indagati facevano cenno anche al latitante Matteo Messina Denaro che il palermitano asseriva finanche di avere incontrato.
Con riferimento alla figura di Tumbarello individuato come promotore del sodalizio in parola, è emerso che questi, utilizzando svariati recapiti telefonici anche internazionali fittiziamente intestati a terzi e impiegando un predeterminato codice di cifratura (decriptato dai Reparti operanti):
- manteneva i contatti con mediatori e fornitori del narcotico dimoranti in Spagna e Marocco;
- si relazionava con i sodali presenti nel Nord Italia incaricati della commercializzazione dello stupefacente importato;
- indicava perentoriamente ai sodali la cogente esigenza di destinare parte dei proventi delle attività delittuose per remunerare la famiglia mafiosa di Campobello di Mazara.
Si evidenzia infine che i traffici di sostanza stupefacente intercettati nel corso delle attività avrebbero avuto complessivamente un valore sul mercato pari quantomeno ad un milione e mezzo di euro.