Da 21 anni si sottrae alla cattura il superlatitante Matteo Messina Denaro.

L'Espresso, scrive di lui: "Come il padre che è rimasto alla macchia per anni ed è morto senza venire arrestato, Matteo ha la latitanza nel sangue..."

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Da 21 anni si sottrae alla cattura il superlatitante Matteo Messina Denaro. E’ dal lontano 2 giugno del 1993, che non si hanno più notizie certe su di lui. Il suo 52 esimo compleanno, il 26 aprile scorso, lo ha festeggiato “alla macchia”, da solo o con pochi intimi. Non si fida di nessuno e non tiene rapporti con altri mafiosi, tanto meno con i suoi familiari perchè super controllati. Amici? Forse non ne ha, tra “caduti” sul campo e arrestati attorno a lui non sarebbe rimasta tanta gente; ma la cosa sembra non preoccuparlo. Il suo cruccio è il denaro e nella sua vita da criminale sembra che ne abbia fatto davvero tanto, almeno tre miliardi e mezzo di euro, quello fin ora sequestrato. Gli inquirenti, ritengono comunque, che la sua più grande abilità è la latitanza. Un vero maestro nel mimetizzarsi, nel nascondersi, nel cancellare le proprie tracce. Nessuno sa come è fatto, l’ultima foto risale a quando era un ragazzino. Tutti si interrogano su dove si nasconde. Gli inquirenti sospettano che non abbia mai lasciato la sua terra, o meglio il suo regno, Castelvetrano, che continua a nasconderlo, a “proteggerlo” malgrado i crimini di cui si è macchiato le mani.

Ecco come lo descrive sull’Espresso Lirio Abbate: “È l’uomo più potente della Sicilia. Abbatte i nemici e trasforma gli amici in capitani d’industria. Ma il suo vero miracolo è la capacità di creare lavoro e distribuire posti in una regione depressa. Di più: riesce a far eleggere i politici che gli sono più fedeli. Eppure da ventuno anni è il latitante più ricercato d’Europa, condannato per stragi e omicidi, accusato di avere ucciso bambini e strangolato donne. Matteo Messina Denaro non solo resta imprendibile, ma ha saputo inventare un metodo moderno di essere mafioso, senza mai sbagliare una mossa. Il suo volto di oggi non lo conosce nessuno. I pentiti azzardano qualche identikit, costruito su vecchi ricordi, immagini impresse nella memoria da dieci, quindici anni, di quella che è stata la faccia del boss dei boss. E lui invece è come un fantasma. Custode del suo regno trapanese, arbitro delle leggi di Cosa nostra. E abilissimo a sfruttare l’innovazione tecnologica per arricchirsi e sfuggire alla cattura”.

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Tra i tanti crimini è ritenuto essere stato il mandante e esecutore per le bombe di Firenze, Roma e Milano del 1992, ma è sempre riuscito a sottrarsi alla cattura; misteriosamente abbandona i covi poco prima delle retate. Le stesse retate che hanno portato in carcere tutto il Gotha di Cosa Nostra e fatto scalare, a Matteo Mesina Denaro, il vertice di cosa nostra. Oggi è ritenuto il numero uno, l’uomo successo a Provenzano, colui che governa la famiglia mafiosa siciliana, il superlatitante che ha dato scacco alle forze dell’ordine e continua ad essere uccel di bosco. Negli ultimi mesi, a ritmo costante, vengono diffusi annunci sulla sua imminente cattura di Matteo Messina Denaro, ma il capo mafia continua a nascondersi con successo. Resta solo un dubbio: è davvero lui l’erede dei Corleonesi? Nelle sue interminabili chiacchiere, dentro il carcere di Opera, Totò Riina ne ha parlato male facendo capire che è uno che si fa troppo i fatti suoi. È la verità o il vecchio Riina vuole mischiare ancora una volta le carte?

Di certo è che attorno all’imprendibile capo le forze dell’ordine hanno fatto terra bruciata, i pm di Palermo guidati dal procuratore aggiunto Teresa Principato: hanno messo in carcere centinaia di favoreggiatori, boss e gregari, capi mandamento e picciotti. Contestualmente, gli inquirenti, lo hanno impoverito sequestrando ai suoi prestanome beni per 3,5 miliardi di euro; ma Matteo Messina Denaro, chiamato “Diabolik” dai suoi vecchi amici e “Testa dell’Acqua” dai suoi seguaci, resta sempre il ricercato numero uno nel bollettino del ministero dell’Interno.

Lirio Abbate, sull’Espresso, scrive: “Come il padre che è rimasto alla macchia per anni ed è morto senza venire arrestato, Matteo ha la latitanza nel sangue. Ha condiviso la prima parte della fuga con i fratelli Graviano. Insieme, si definivano i “figli” di Riina. Ha fatto del sospetto uno scudo, fiutando le trappole e selezionando gli uomini a cui affidare la sua sicurezza: c’è sempre qualcuno disposto a sacrificarsi per lui pur di favorirlo e coprirlo, nelle retate e negli affari”.

Viene lecito chiedersi se la sua cattura sia davvero così prioritaria o, semplicemente non è ancora giunto il suo momento. Riina prima e Provenzano dopo sono stati “presi” in circostanze “anomale”, come se fossero stati serviti allo Stato sul piatto d’argento… magari quando non erano più buoni nella gerarchia criminale dove non avrebbero occupato il gradino più alto, contrariamente a quanto si pensa. Trovarlo è praticamente impossibile, i suoi fedelissimi non parlano.

Lirio Abbate, sull’Espresso, scrive: “La regola del silenzio domina tutte le sue attività. Il clan è diviso in compartimenti stagni, secondo il modello delle formazioni terroristiche. C’è una rete autonoma che si occupa della latitanza. E un’altra separata con i “picciotti” che mettono a segno estorsioni e omicidi. Il boss evita anche i contatti con Franca Alagna, la madre di sua figlia Lorenza che oggi ha diciotto anni. Stesso muro nei rapporti con la figlia, che forse potrebbe non averlo mai conosciuto”. 

La caccia alla primula rossa di cosa nostra resta aperta, ma da quando il suo nemico numero uno, il “cacciatore”, Giuseppe Linares, ex dirigente della Divisione Anticrimine della questura di Trapani,è stato trasferito a Napoli a dirigere la Dia, Matteo Messina Denaro ha potuto tirare un sospiro di sollievo. Linares è stato dirigente della Squadra Mobile di Trapani dal dicembre del 1995 al 31 dicembre 2010, scardinando il sistema mafia-politica-imprenditoria con la cattura di importanti latitanti inseriti nell’elenco dei ricercati più pericolosi e conseguendo risultati eclatanti nella confisca di beni nella disponibilità di mafiosi e loro prestanomi.

Di “grave perdita” parlò Piero Grillo presidente del Tribunale delle Misure di prevenzione di Trapani, quando nel luglio del 2013 si sparse la notizia del trasferimento di Linares ad altro incarico: “Sono assolutamente dispiaciuto perchè al Tribunale viene meno un importante punto di riferimento. Sarebbe auspicabile che restasse per completare un lavoro che si è iniziato. Oggi se il trasferimento venisse attuato, verrà a mancare al Tribunale un indispensabile interlocutore”. Linares era ad un passo dalla cattura di Matteo Messina Denaro quando ha lasciato Trapani. Agli ordini dello Stato si obbedisce! Uscito di scena l’uomo più temuto dal padrino di Castelvetrano la data della cattura del superlatitante si allontana.

Non rassicura, di certo, la politica della spending rieview, che sta analizzando le forze dell’ordine, sia come organici che come mezzi a disposizione, per non parlare dei loro compensi che sono bloccati da sei anni. Si ha l’impressione che magistrati e forze dell’ordine siano stati lasciati soli nella repressione della mafia, un fenomeno secolare, forte, diffuso in tutto il Paese, finanziariamente potente e politicamente legato a settori importanti della società italiana. Questa è l’Italia di oggi, un Paese in ginocchio, che abbandona i propri figli, anche quelli che operano nel suo nome.

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