Archeologia, scoperta la “vera” Selinunte: una città con due porti

Una città dentro il mare, con due lagune come porti naturali in cui zampillavano sorgenti d’acqua dolce, tre promontori alle spalle e la valle del Belice “autostrada” che conduceva fin quasi alle porte di Palermo: era questa Selinunte. La più grande città del commercio del V secolo avanti Cristo che, per la prima volta, viene alla luce grazie alle indagini geomorfologiche curate dall’università di Camerino e dall’ente regionale che gestisce il parco archeologico più grande d’Europa. Un esperimento ancora in corso che sfrutta termo-camere e ricostruzioni in 3D per ricomporre, tassello dopo tassello, la Selinunte di 2.700 anni fa e di cui verranno illustrati i primi risultati domani e mercoledì alla presenza di studiosi, esperti e giornalisti provenienti da tutto il mondo per due giorni nel segno del passato e di una nuova promozione turistica dell’area archeologica.

“Una città bellissima – spiega il docente Gilberto Pambianchi, presidente nazionale dei Geomorfologi – lussureggiante, immersa in un paesaggio verde, ricco di boschi e di acqua, di certo molto diversa da quello di oggi e con un clima molto più fresco. Ne stiamo ricostruendo l’habitat e dunque le abitudini della popolazione dell’epoca fatta di contadini, cacciatori ed esperti di pesca”.

Con quasi 50mila abitanti e 10 templi, Selinunte era una delle città più importanti della Sicilia di età greca. “Ricca e accogliente – aggiunge il geo-archeologo Fabio Pallotta – si apriva sul mare dove venne fondata dai megaresi non per trovare difesa, sfruttando i promontori, ma per affacciarsi sul Mediterraneo e poter commerciare con i Cartaginesi, gli Etruschi e gli altri popoli. Abbiamo anche scoperto che quando i coloni giunsero qui da Megara si sposarono con gli Elimi, che popolavano questi luoghi, e fondarono il primo abitato su un terzo promontorio finora sconosciuto, quello del santuario della Malophoros. Suggestivo il fatto che sfruttassero le sorgenti d’acqua dolce che giungevano sin dentro le lagune, come accade a Siracusa per la fonte Aretusa, per ristorare viaggiatori di confine”.

Le indagini hanno scoperto anche un acquedotto costruito dai Greci che, attraverso un sistema di vasche e canali, portava acqua alle case e ai campi, e del quale restano ancora tracce delle antiche tubature. “Gli abitanti di Selinunte riuscirono anche a deviare corsi d’acqua – aggiunge Marco Materazzi, geomorfologo dell’università di Camerino – e eseguire sbancamenti imponenti per scopi legati al commercio, al culto religioso o militari”.

E, ancora, sono venuti alla luce statue, vasi corinzi e persino un flauto greco: reperti che saranno svelati domani alla stampa insieme con la ricostruzione della facciata del tempio dorico chiamato Y, grazie al ritrovamento di elementi architettonici. “E’ stata rinvenuta anche la più antica raffigurazione di tutto il mondo greco della divinità Ecate – dice il direttore del Parco di Selinunte, Enrico Caruso – e, ancora, altari all’interno di abitazioni domestiche.

Abbiamo ricostruito le case risalenti all’epoca classica ed ellenistica, dopo la distruzione del 409 avanti Cristo da parte dei Cartaginesi”.

In corso anche un’indagine con metodi geo-elettrici che ha rilevato la presenza di strutture, case, strade o mura, ancora sottoterra. “Anche tracce correlate a terremoti, frane, alluvioni del passato che ora dovremmo inquadrare nel tempo – dice Pambianchi – Questi indizi ci consentiranno di registrare una memoria storica estremamente importante per le politiche di prevenzione e di tutela dei siti archeologici in Sicilia ma ovunque, in tutta Italia”.

 

Fonte: www.repubblica.it

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