Marsala, affiorano dalle rovine di Mozia nuovi tesori

mothia-mozia-defibbrillatore-zeling- turisti, bSull’isola che fu un’antica città fenicia si continua a scavare e fare nuove scoperte. A Mozia, la Pompei del Mediterraneo, perché anche in questo lembo di terra tutto ha smesso di esistere in una data ben definita, riemergono ancora una volta frammenti di storia dei suoi abitanti.
Qui la storia si è fermata nel 397 a.c. quando Dionigi, il tiranno di Siracusa, prese e rase al suolo l’isola, ma scavo dopo scavo, la IV missione archeologica dell’Università di Palermo, in convenzione con la Soprintendenza per i beni culturali di Trapani e con l’ospitalità Fondazione Withaker, “ricostruisce” il passato. Si concluderà, il 15 luglio, con un bilancio segnato da nuove scoperte uno cavo che, in un mese e mezzo, ha portato alla luce una cavità nell’edificio “J”, 15 neonati seppelliti all’interno di anfore nella necropoli a cremazione, un cippo a forma di obelisco con epigrafia punica e un incensiere.
Allo scavo, un campo scuola diretto da Gioacchino Falsone, ordinario di archeologia Fenicio-Punica e Orientale all’Università di Palermo e da Rossella Giglio responsabile del servizio per i beni archeologici della Soprintendenza di Trapani, hanno partecipato una ventina di studenti del corso di archeologia e – con un protocollo d’intesa con il Consorzio Solidalia e il Comune di Marsala – anche cinque giovani rifugiati, tra i 19 e i 30 anni, provenienti dal Pakistan, dal Senegal e dal Gambia, per un progetto di integrazione attraverso la cultura e la memoria. Nella zona nord orientale dell’isola, diretti sul campo da Paola Sconzo docente all’Università di Tubinga, si continua a lavorare nell’edificio monumentale “J” e nella vicina necropoli arcaica. È qui, nel punto più vicino alla terra ferma, che nell’edificio monumentale “J” è stata scoperta una cavità che, secondo gli studiosi, non non è ne un pozzo ne una cisterna.
L’edificio, realizzato con la tecnica a telaio tipica del mondo punico, raso al suolo da Dionigi di Siracusa, si compone con un sistema di porte e muri possenti, ma il suo utilizzo è ancora un’incognita fatta di ipotesi. “In questi giorni – dice Gioacchino Falsone – stiamo scavando l’ambiente ipogeico per capire di cosa si tratta e dove conduce. Dell’intero edificio conosciamo due vani dove, in uno dei quali, c’è una vasca monolitica di cui non conosciamo con certezza l’uso.
Qualche indizio potrebbe far pensare a una installazione metallurgica dati i frammenti di fusione di metalli trovati, oppure potrebbe essere un edificio di tipo amministrativo in uso tra il V e il VI”. Poco più in la c’è la necropoli arcaica in uso nel periodo della colonizzazione dell’isola da parte dei fenici e fino a quando, nel VI secolo, i moziesi fortificarono l’isola togliendo il cimitero e iniziando a seppellire i corpi sulla terraferma, a Birgi.
Uno scavo iniziato da Whitaker tra il 1909 e il 1911 che, fino a oggi, ha consegnato oltre 300 sepolture. Se fino a qualche settimana fa sembrava una necropoli di soli adulti con qualche sepoltura di bambini inumati o cremati, adesso, è stato scoperto che, nel punto in cui i moziesi innalzarono le mura, c’è una necropoli infantile con 15 bambini, di cui due gemelli uno accanto all’altro, inumati dentro le anfore. “L’impressione – dice Paola Sconzo – è quella che fosse una necropoli in cui le tombe avessero una loro visibilità attraverso pietre che le coprivano. Sulle anfore che contengono le ossa dei bambini sono state ritrovate pietre e lastre come se fosse un segnale. Le ossa ritrovate appartengono a bambini molto piccoli, morti o perché nati prematuri o a causa di aborto”.
Una missione in cui nulla viene tralasciato: i resti vegetali (carboni e semi) con la tecnica della “Flottazione” vengono analizzati e identificati da specialisti di paleo botanica mentre per ogni osso umano c’è l’ antropologo fisico ad analizzarlo. Tra le scoperte anche un incensiere e un cippo a forma di obelisco con epigrafia punica che si rifà ai modelli egizi. “Si tratta – dice Falsone – di un elemento importante poiché l’epigrafia ci da la possibilità di capire chi vi era sepolto”.
Maria Emanuela Ingoglia
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