Vergogna, ritornano gli stipendi d’oro alla Regione Siciliana

Da gennaio  all’Ars tornano gli “stipendi d’oro” o quanto meno verrano meno i tetti alle retribuzioni dei vertici di Palazzo Normanni, siglati tre anni fa. C’è il rischio che alcuni dipendenti potrebbero vedersi raddoppiato lo stipendio fino a quando l’Amministrazione Musumeci non porrà la parola fine a tali privilegi.  

Lo stop al tetto di 240 mila euro per gli apicali riguarda una decina di funzionari; la grande fetta delle limitazioni riguardava invece il 70% del personale dell’Ars. Al momento i limiti sono i seguenti: 204 mila euro per gli stenografi, 193 mila euro per i segretari, 148 mila euro per i coadiutori, 133.200 euro per i tecnici e 122.500 euro per gli assistenti parlamentari. Tra i sindacati interni c’è attesa per le mosse dell’amministrazione. C’è chi ipotizza il ritorno alle vecchie tabelle con stipendi che in qualche caso potrebbero quasi raddoppiare oppure c’è chi azzarda un regime transitorio in attesa di una nuova contrattazione tra l’amministrazione e il nuovo ufficio di Presidenza dell’Ars, che sarà eletto nella seconda decade di dicembre.

L’accordo scade a fine dicembre e il limite massimo di 240mila euro non sarà più valido né è previsto, almeno ad oggi, un tetto. Potrebbe esserci insomma un via libera ai maxi-stipendi, che potrebbero mettere a rischio i conti della Regione Siciliana. L’intesa in scadenza prevede che dal primo gennaio 2018 «potranno essere adottati i limiti stipendiali previsti presso il Senato della Repubblica» (dove a partire dalla stessa data non ci saranno più tetti agli stipendi).

A Palazzo in questa fase non si muove foglia, anche perché la nuova Assemblea, uscita fuori dalle elezioni del 5 novembre, non s’è ancora insediata. Tra i sindacati interni c’è attesa per le mosse dell’amministrazione. C’è chi ipotizza il ritorno alle vecchie tabelle con stipendi che in qualche caso potrebbero quasi raddoppiare oppure c’è chi azzarda un regime transitorio in attesa di una nuova contrattazione tra l’amministrazione e il nuovo ufficio di Presidenza dell’Ars, che sarà eletto nella seconda decade di dicembre.

Certo è che il ripristino delle vecchie tabelle comporterebbe un incremento di oltre il 30 per cento della spesa per il personale, circa 10 milioni di euro in più, pari appunto ai tagli che furono apportati con l’accordo del 2014. E questo a fronte di un aumento del 19,16% della spesa per le pensioni (circa 8 milioni in più iscritti negli ultimi tre bilanci) dovuto proprio all’accordo su tetti e sotto-tetti.

Alla luce di quell’intesa, infatti, alcuni funzionari andarono in pensione per evitare di rimetterci: così la voce previdenza in bilancio è passata da 40,3 milioni del 2013 a 48,05 mln del 2016.

Lo stop al tetto di 240 mila euro per gli apicali riguarda una decina di funzionari; il 70% del personale dell’Ars, in totale 180 dipendenti circa, ha retribuzioni al di sotto anche dei sotto-tetti. Al momento i limiti sono i seguenti: 204 mila euro per gli stenografi, 193 mila euro per i segretari, 148 mila euro per i coadiutori, 133.200 euro per i tecnici e 122.500 euro per gli assistenti parlamentari.

Una vicenda simile a quella che si presenta in questi giorni alle Camere, a Roma, dove è in scadenza il provvedimento che fissa per gli stipendi il tetto di 240 mila euro e che in tre anni aveva fatto risparmiare – solo a Montecitorio – 24 milioni di euro. Una semplice proroga del provvedimento è impossibile (farebbe scattare un mare di ricorsi) e la legislatura agli sgoccioli rende improbabile che si possa affrontare il tema. Prevedibile l’irritazione della Boldrini che avrebbe voluto che le misure fossero strutturali e non temporanee.

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