Capire le parole, le parole e le cose

 

Capire le parole, le parole e le cose per il periodo aprile-giugno 2019 – presso “4ARTS GALLERY” di Angela Ruggirello e Sal Giampino (Marsala, Via Rapisardi, n.33) – presenta la sua seconda edizione proponendo quattro incontri su aree di largo interesse pubblico. L’intento è di discuterne e dialogarne attraverso i nessi (in generale) che legano lingua, linguaggi e l’operatività democratica nel contesto delle nostre attualità socio-politiche (per inciso, è opportuno, qui, ricordare che il nome dell’iniziativa – Capire le parole, le parole e le cose – è un preciso prestito legato all’opera “Capire le parole” (Tullio De Mauro, 1994) e a “Le parole e le cose” (Michel Foucault 1967).

Non è un caso che in questi incontri, ancora una volta, ci si richiami ai nomi di T. De Mauro e M. Foucault, i nomi che (come non pochi) hanno analizzato e chiarito come i segni (lingua/linguaggi) e i contrassegni delle cose (naturali, artificiali), per essere capiti e compresi nella variegata relazione di reciprocità funzionale hanno bisogno di essere conosciuti nella loro stessa strutturazione d’ordine produttivo. E l’ordine non è solo conoscitivo, se T. De Mauro (e non il solo), almeno sul piano della più recente storia italiana, ha sempre sottolineato il valore, culturale, sociale e politico dell’art. tre (3) della Costituzione repubblicana italiana in ordine al “principio” della rimozione degli ostacoli, comprensiva degli “ostacoli” di tipo socio-linguistici e simbolici.

Certo è infatti che lì dove non c’è adeguata conoscenza e sapere, l’azione partecipativa e cooperativo-consapevole e critica delle collettività, qualunque sia il modello strutturante, lì non c’è che produzione e crescita di diseguaglianze, povertà e illibertà (potere e poteri antidemocratici); un discrimine cioè che privilegia i pochi a danno dei molti, omettendo deliberatamente l’origine sociale di ogni nodo in rete (produzione e consumi di beni, saperi, creatività, costruttività…) del vivere in comune.

L’età contemporanea, sempre più dilatata e complessa, richiede peraltro una semiosi linguistico-politica (teorica e d’uso) più approfondita e raffinata. Attraversata dai flussi migratori e dai linguaggi artificiali etc., ha un’eccedenza linguistico-semiotica che abbisogna di maggiore capacità “democratica” di leggere, capire e comprendere con consapevolezza critica; diversamente, come ieri, l’altro ieri e l’innanzi il “patrimonio di cultura e di capacità espressive sarà riservato sempre più (corsivo nostro) a élites ristrette” (T. De Mauro, “L’educazione linguistica democratica”, a cura di Silvina Loiero e Maria Antonietta Marchese, 2018, p. 73).

Citando sempre Tullio De Mauro, se usiamo “le parole per parlare delle parole” (“L’educazione linguistica democratica”, cit., p. 38) è possibile rendersi consapevoli e critici di come il potere politico e la società consumistica odierna possano o meno qualificarsi come potere democratico e non (di classe). Le società consumistiche, dice infatti De Mauro, riprendendo le sue “Dieci tesi” sul linguaggio, ci stanno facendo perdere il «rapporto corporeo con le cose, la realtà della natura, i giochi. Dobbiamo recuperare in pieno il nostro diritto a costruirci questa esperienza. Il senso di troppe parole ci è precluso senza ciò» (Ivi. p. 40). E se il senso delle parole è perso, la democrazia è in pericolo più di quanto non lo sia quello inferto da un secco colpo di stato e dalla stessa economia finanziaria del monolinguismo digito-elettronico capitalistico.

Rinviando, dall’altro lato, a Michel Foucault (“Lezione del 17 gennaio 1793”, in “La società punitiva” (2019), ediz. it. a cura di Deborh Borca e Pier Aldo Rovatti, pp. 56-73), possiamo vedere come nel corso dell’analisi economica della delinquenza nel XVIII secolo (in una con il problema delle sovranità), per esempio, la parola «criminale» si sia distaccata dalla parola «colpa» e «peccato» per essere usata come «nemico della società» (crimine e criminale: un’accoppiata oggi molto di moda sia che, per esempio, si scarichi dalla rete materiale protetto dal diritto “proprietà” privata, sia che ci si riferisca, senza le dovute analisi, alle azioni ribelli dei “centri sociali” o a movimenti di contestazione e fuga dall’ordine esistente…).

Rimanendo con Foucault di “Le parole e le cose”, per esempio, è a lui che si devono gli studi che hanno sviscerato il rapporto tra il segno-moneta, il segno-denaro, lo scambio, il mercato e la ricchezza. Il sistema dei segni e delle designazioni (la nominazione delle cose) non è rimasto lo stesso nel passaggio dalla società premoderna a quella moderna, ovvero dal momento in cui l’economia politica ha introdotto il ‘lavoro’ come attività produttiva generale e soggettiva. Non si tratta di sapere – scrive M. Foucault – “in base a quale meccanismo le ricchezze possono essere rappresentate reciprocamente […], ma di sapere perché gli oggetti del desiderio e del bisogno chiedono di essere rappresentati, e in che modo viene posto il valore d’una cosa e perché può affermare che essa vale tanto o tanto” (Ivi, p. 209). Il desiderio, fra l’altro, come argomentato dalla tesi della “schizoanalisi” (G. Deleuze/F. Guattari, “L’anti-Edipo-Capitalismo e schizofrenia”,1972), è «produzione desiderante e sociale insieme» (Ivi, p. 337) e, in quanto tale, irriducibile alla rappresentazione del “codice” edipizzante.

Autori e temi degli incontri: Francesco Ducato, Architettura e paesaggio (6 aprile 2019, ore 18); Fabrizio Manco, Abitati dalla tecnologia (20 aprile 2019, ore 18); Fabio D’Anna, Beni comuni, licenze “creative commons” e legislazione italiana (4 maggio 2019, ore 18), Alfredo Anania, La psicoanalisi al tempo della violenza diffusa (25 maggio 2019, ore 18), Sal Giampino, Pandemia del desiderio (8 giugno 2019, ore 18).

Coordina Antonino Contiliano

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